Lettere a una nera – Prefazione di Elsa Dorlin

Lettere a una nera

Elsa Dorlin / 5-02-2024

 

Un’autentica fenomenologia del dominio: Lettere a una nera

In occasione dell’uscita del libro di Françoise Ega, riportiamo un estratto della prefazione di Elsa Dorlin

Ega ci offre molto più di una testimonianza dall’interno, la sua è un’analisi di quella scena privata di dominazione, in cui il faccia a faccia tra la datrice di lavoro bianca e la domestica nera avviene senza testimoni; in cui la crudeltà della prima è senza limiti, mentre la seconda non ha altra scelta che cedere al rapporto di potere, e inventare all’infinito tattiche di sopravvivenza. Françoise Ega propone così di “portare avanti un’esperienza”, di fare ciò che nel suo taccuino chiamerà “la sua esperienza”.

Lo fa con un protocollo studiato nel dettaglio: ha deciso di farsi assumere e di tenere un diario sui fatti che la vedranno allo stesso tempo come cavia, Oggetto e Soggetto di conoscenza. Quel protocollo d’inchiesta permette anche di distinguere ciò che riguarda l’esperimento da ciò che attiene al vissuto. La sua riflessione ci consente di pensare queste due modalità dell’“esperienza”.

Françoise Ega si impegna in un’autoanalisi di ciò che vive, innanzitutto perché è ben consapevole di non poter esperire in modo completo quello che passano le “ragazze del suo paese”. A rigore, non avrà la stessa esperienza. Lo sottolinea già nella prima pagina, quando accenna alla delusione e al rammarico dei suoi primi datori di lavoro per il fatto che lei non sia “come le altre”: cioè come quelle ragazze appena sbarcate dalla loro isola, impaurite e sole, senza diritti e senza nome.

Françoise Ega è più grande, conosce bene la Francia, è sposata, ha dei figli, una casa, un posto suo in cui riesce a strappare alla fatica qualche momento per “scrivere un libro”. Vuole sperimentare concretamente ciò che le sue “simili”, come le chiama lei, le raccontano; vuole verificare con gli occhi, la carne, i muscoli, ascoltare con le sue orecchie e inspirare dalle narici quella dominazione cruda.

Vuole essere testimone dell’“io” di quelle signore che non pagano le loro impiegate con il pretesto di farsi restituire i soldi del viaggio, che non le dichiarano alla Previdenza Sociale e le lasciano senza la minima cura quando si ammalano, che le fanno mangiare in piedi, mentre le costringono a pulire e a ripulire un tappeto in ginocchio, o a salire e scendere piani per prendere l’acqua ghiacciata.

Vuole fare luce su quelle borghesi che nascondono l’aspirapolvere o la scala, obbligano a strofinare con “olio di gomito” o scelgono i prodotti più corrosivi e tossici per il corpo, e che ispezionano, ordinano, sorvegliano di continuo… Françoise Ega vivrà tutto questo, lo proverà e lo subirà – seppur con risorse che le danno modo di sopravvivere e di resistere. Rende in questo modo la sua esperienza comparabile a quella delle sue compagne e allo stesso tempo unica, eccezionale.

Ega vuole poter parlare e scrivere in prima persona e “con cognizione di causa”. La causa delle nere è costituita dalla materia di esperienze vissute, molteplici e singolari, ma attribuibili tutte a un sistema di disumanizzazione radicale. Vuole anche condurre un’esperienza nel senso della sperimentazione: testare fin dove può spingersi la crudeltà di quelle famiglie francesi, di quelle donne, dei loro figli, di quei datori di lavoro. Per più di un anno, assunta in diverse case della borghesia marsigliese, così come in un albergo a ore, allo stand di un negozio di souvenir, in una fiera e poi in una macelleria,

Ega trasforma quell’esperienza propria della dominazione – un’esperienza commensurabile a quella vissuta dalle “sue sorelle” – in uno studio sui dominanti, in una riflessione sul mondo privato e intimo del razzismo, sulla vita psichica della Francia bianca. Da soggetto di esperienze, per definizione singolari, Ega accetta di diventare per sé un oggetto di esperienza: si fa oggetto di un’esperienza limite – quella dell’oggettivazione, della disumanizzazione – e “aumenta i ranghi di quel bestiame”, diviene bestia da soma come le sue nonne, un “robot”, un “utensile a disposizione”, scrive.

Non sarà più Françoise Ega, non sarà più una donna, una madre, una moglie, sarà solo un corpo senza nome, una “nera”, una razza, un colore, sarà destinata al lavoro più duro, letteralmente torturata dai suoi datori di lavoro.

 

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