Febbre di Jonathan Bazzi finalista al Premio Berto

Redazione / 2 giugno

 

Annunciamo con grandissimo orgoglio che “Febbre” di Jonathan Bazzi è nella cinquina finalista della 27° del Premio Berto.

 

“Jonathan Bazzi in Febbre racconta coraggiosamente in stile rap la fatica di un riscatto nella periferia di una grande metropoli”.

 

Ecco le motivazioni della giuria:

 

Nel 2016 Jonathan scopre di essere sieropositivo. La malattia non solo scava in lui un abisso di paure, ma anche riporta a galla ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza passata a Rozzano – Rozzangeles – ossia il Bronx di Milano, un quartiere dormitorio dove contano soltanto il “saper menare” e l’avere soldi; dove si tira a campare di espedienti e nessuno studia. È qui che due giovanissimi, Tina e Roberto, mettono al mondo Jonathan, ma presto si separano prendendo strade differenti; il bambino perciò si ritrova sballottato tra due coppie di nonni. A scuola deve poi affrontare sia la balbuzie sia la solitudine, causata da una sensibilità fuori dal comune, per cui diventa vittima di vari episodi di bullismo. Tra alti e bassi, cercando nell’istruzione una personale via di salvezza, Jonathan esce dall’orizzonte ristretto della periferia e riesce a trasformare l’esperienza della malattia in un viaggio dentro se stesso. L’epigrafe di Ingeborg Bachmann avverte: “Con la mia mano bruciata scrivo della natura del fuoco”. Due storie vere si intrecciano infatti in “Febbre” di Jonathan Bazzi: la prima, che dà il titolo al libro, è centrata sul rapporto di un giovane con la malattia e la paura della morte; l’altra racconta la vita delle periferie emarginate. Entrambe sono “narrazioni di guerra”: contro le superstizioni fumose che perseguitano chi è contagiato da HIV; contro la fissità dei ruoli all’interno della famiglia tradizionale; contro l’omofobia; contro i pregiudizi sociali nei confronti di chi proviene da una parte della città che pare isolata da una barriera immaginaria di filo spinato. Colpisce soprattutto il ritratto amaro che l’autore fa del suo quartiere di operai non qualificati, di famiglie assistite dai servizi sociali, di tossici e spacciatori che vivono in casermoni alveari e parlano una strana mescolanza di dialetti meridionali. E in qualche momento le pagine che Jonathan Bazzi dedica a Rozzano acquistano il colore scuro della voce di un rapper. Così alla fine il lettore si rende conto che la “febbre” del titolo non è solo quella causata dal virus, ma scaturisce da una passione bruciante per la vita.

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