Perché tutto questo dolore ci sia utile – Nicola Ravera Rafele

Nicola Ravera Rafele / 31 marzo 2020

 

Nel corso della prima stagione di Westworld, un androide chiede a colui che lo ha progettato, Robert Ford (Anthony Hopkins), di cancellare dal suo sistema i ricordi dolorosi. Ford risponde che non è possibile, se non al prezzo di distruggere completamente la sua personalità. E’ stata proprio quella l’intuizione che ha reso quegli androidi così simili agli umani: fondare la loro personalità sul ricordo del dolore. È attraverso la consapevolezza del dolore che sono diventano coscienti, sensibili, intelligenti. Uguali a noi. Come gli androidi di Westworld, il nostro istinto ci spinge e ci spingerà a cancellare tutto questo dolore dalla memoria, ed è legittimo, perfino sano. Prima che tutto questo finisca però, sperando che finisca il prima possibile, un paio di cose è meglio annotarle, e non sui danni del Coronavirus, ma sui danni che il Coronavirus ha reso visibili, come un liquido di contrasto che evidenzia ciò che c’era già.

1. Le catastrofi accadono. Un alto tasso di comunicazioni iperboliche e bufale, di complottismi e millenarismi assortiti sembrava averci assuefatto all’idea che poi, alla fine, non succede mai niente. Un meccanismo inconscio ci faceva sentire protetti: i disastri di grande portata erano relegati a scenari da romanzo distopico. No, non ora non qui, pensavamo. Non ora, non nel cuore della civiltà tecnologica, non a noi iper-connessi ed evoluti. La peste era roba manzoniana, buona per gente che non aveva ancora scoperto né le automobili né la penicillina. E non qui, soprattutto. Semmai in Cina, in Africa, in qualche isoletta del Pacifico. Non può accadere nulla di male a noi in Occidente, a noi che non mangiamo topi e siamo democratici e funzionali alle magnifiche sorti e progressive dell’umanità. Più degli altri, chissà perché. Invece le catastrofi accadono, qui e ora. E sarebbe meglio tenerlo a mente, perché questa consapevolezza fa cadere il pilastro su cui si è retto il negazionismo a proposito del riscaldamento globale. Tutti quelli che in questi anni hanno etichettato Greta Thunberg come una ragazzina rompicoglioni, materiale da meme o carne da battute al bar, lo hanno fatto nella illusione che ‘tanto non succede’. Ecco. Prendere nota.

2. L’equità non si improvvisa. L’idea che esista una possibilità di sviluppo armonico della società è stato, negli ultimi anni, non solo abbandonata, ma perfino derisa. Il trionfo di un modello di capitalismo rapace ha relegato in un angolo qualunque discussione sui contrappesi e sulle tutele. La possibilità di una società diversa, che garantisse qualcosa a tutti, è sembrata via via una utopia da ingenui, buonisti nel migliore dei casi, o uccelli del malaugurio se denunciavano i rischi cui andavamo incontro. Eppure esattamente di questo si parlava. L’importanza di una sanità pubblica e funzionante, non minata nelle fondamenta da tagli e corruzioni assortite, non era un capriccio né una astrazione. Adesso forse è più chiaro a tutti. Se l’Italia si salverà è proprio perché, nonostante i tentativi di distruggerla, quella sanità pubblica e funzionante la aveva ancora. Sarebbe bene ricordarlo, e ricordarlo all’interno di un discorso di sistema, non solo battendo le mani ai medici e agli infermieri eroi. Lo sono, certo, eroi. Ma hanno bisogno di stipendi, strumenti e fondi per la ricerca, non della solita tendenza italiana a innamorarsi dei martiri. Dove c’è un martire c’è un errore, verrebbe da dire. I bravi allenatori dicono: dietro un portiere che fa un miracolo c’è una difesa che ha sbagliato piazzamento. Cerchiamo di difendere meglio.

3. Quando la società del benessere diventa la società del profitto, il benessere ha le gambe corte. Una delle cose che più ci stanno impressionando è la fragilità del nostro stile di vita. Possibile che tutto quello che abbiamo costruito, l’opulenza, il progresso e la sicurezza, fossero solo una illusione ottica? In ‘Io e Annie’, quando Woody Allen lascia Diane Keaton (salvo poi pentirsene), le dice: “Una relazione credo sia come uno squalo sai, che deve costantemente andare avanti o muore. Eh… credo che quello sia restato a noi sia uno squalo morto.”. La corsa in avanti degli ultimi quarant’anni ha generato una ‘economia dello squalo morto’, in cui il rilancio continuo ha indebolito, reso friabili le fondamenta e quasi cancellato il margine di sicurezza. Ci stanno dicendo che l’economia mondiale sta franando perché il virus ha bloccato il mondo per (forse) un paio di mesi. Non è vero, ovviamente. Il virus sta mostrando una malattia che era già lì, ed era l’incapacità di garantire sviluppo e benessere per tutti, farlo in modo equo e armonico. L’esempio più incredibile di sistema fondato sullo squilibrio è il campionato di calcio. L’ultima estate, il club di serie A hanno registrato un giro di affari pari a 1,17 miliardi di euro. Oggi ci dicono che, se il campionato non riprenderà, si rischia il fallimento. Complimenti.

4. Il dramma estremizza i tratti caratteriali dei personaggi. Per questo ogni buon noir, thriller o horror è soprattuto un film sulla natura umana. Mettere i propri personaggi in una situazione di pericolo è il modo migliore per capire chi sono per davvero, questo lo sa chiunque si trovi a scrivere una storia. E allora cerchiamo di non dimenticare chi in questa situazione ha provato ad opporsi perfino al buonsenso. Trump che voleva fermare il virus con i muri, Boris Johnson e la sua immunità di gregge, Bolsonaro che considera l’epidemia una trama dei suoi avversari politici per attaccarlo. Esattamente come in una pièce di Goldoni, ognuno è scivolato nel luogo comune della sua maschera da commedia. Macron pieno di boria che rifiuta di annullare le elezioni pesando forse che il virus si sarebbe fermato sulle Alpi. Gli spagnoli che sprecano tre giorni cruciali litigando sulla gestione dell’emergenza tra potere centrale e autonomie. I tedeschi che non si preoccupano più di tanto rivendicando la migliore sanità del mondo, mica come gli italiani.

E allora in questa commedia delle maschere esacerbata dal dramma, forse alla fine della storia scopriremo che, come vuole un vecchio adagio, siamo brava gente. Abituati da troppi anni ad auto-denigrarci, a consideraci i peggiori e i più ingenui, magari ci accorgeremo che sotto stress ci siamo mossi con energia e buonsenso, nonostante ci sia capitato in sorte lo scomodo ruolo di apripista. E magari, mentre contiamo i morti o cantando dai terrazzi, piangendo o cercando di ridere, ognuno a modo suo, prima di cercare di dimenticare tutto e ripartire come sogna di fare l’automa di Westworld, avremo pure imparato qualcosa.

One reply on “Perché tutto questo dolore ci sia utile – Nicola Ravera Rafele

  • Francesco Manzitti

    Io, tu, forse qualche altro migliaio di esseri che pensano col cuore oltre ad aver “bisogno di uova”. Ma vedendo i miei “simili” passeggiare, osservando dolorosamente che non è vero che io sono snob, ma che sono “gli altri” ad essere maleducati, egoisti e ignoranti, una cosa sola, per certo, mi ricorderò, quando tutto questo, spero al più presto, ci lascerà liberi di cambiare vita: che voglio vivere nascosto.

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